venerdì 28 dicembre 2012

Buon 2013



Tanti Auguri di Buon 2013 a tutti i lettori

Lo Staff di PSML

giovedì 27 dicembre 2012

Dal Campo di Montelanico a Monte Lupone. Immagine 3D



Monti Lepini. Escursione. Dal Campo di Montelanico a Monte Lupone. Immagine 3D
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Dettaglio escursione
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Itinerario
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Profilo Altimetrico

martedì 11 dicembre 2012

lunedì 10 dicembre 2012

mercoledì 5 dicembre 2012

La produzione del carbone



Se ci avventura nei boschi di leccio fino ad arrivare, alle quote più alte, ai boschi di faggio, è possibile incontrare grandi spiazzi anneriti da resti di carbone a volte sorretti da muri a secco nelle parti più scoscese: le “piazze carbonere”. Questi siti venivano sfruttati a cicli di 20 anni, per la produzione di carbone. Erano quasi sempre collegate al bosco da sentieri sterrati. La “piazza carbonera”, prima della costruzione della carbonaia, veniva livellata per avere una corretta combustione. Al centro veniva costruito il “castelletto” ovvero un camino, con una serie di quadrati di legna sovrapposti. Addosso al castelletto veniva appoggiata in modo verticale e posta a raggera la legna più grande e successivamente quella più piccola per favorire più possibilmente combustione, fino a che la carbonaia non assumeva la forma di una capanna. La carbonaia veniva quindi ricoperta da zolle di terra, frasche e foglie, quindi forata con un bastone per far entrare l’aria necessaria alla combustione. Una volta completata la carbonaia veniva accesa dal “castelletto”, salendo con una scala di legno a pioli, con legna precedentemente accesa. Il camino veniva quindi chiuso con alcuni pezzi di legna ricoperti con grandi zolle di terra. Tre o quattro volte al giorno si alimentava la carbonaia dal camino e la stessa veniva continuamente sorvegliata giorno e notte perchè soggetta a incendio. Dopo circa dieci giorni il capo carbonaro stabiliva, dal colore del fumo e dalla compattezza della carbonera, se il carbone era pronto. Si procedeva quindi alla fase della “scarbonatura”. La tecnica dipendeva dalla grandezza della carbonera. Se era di piccole dimensioni la scarbonatura poteva essere fatta in un giorno, togliendo man mano le toppe di terra aiutandosi con un rastrello di ferro e ricoprendo di terra più sottile il carbone. Successivamente il carbone veniva diviso dalla terra aiutandosi con un rastrello più grande di legno e accompagnato dentro recipienti di forma bassa e larghi con un lato mancante, costruiti con corteccia d’albero intrecciata (“vagli”) e quindi stoccato in grosse balle di juta. Si usavano anche altri recipienti fatti sempre con la corteccia intrecciata (“corvelli”) che avevano la forma di un secchio. Se invece la carbonera era grande, la “scarbonatura” veniva fatta in più giorni, tenendo presente di ricoprire di toppe di terra la parte della carbonera rimasta scoperta per la scarbonatura dei giorni successivi, per evitare l’incendio. La macchia cedua, veniva tagliata a cicli di venti anni. Prima del taglio si procedeva alla martellatura, che consisteva segnare alberi che non dovevano essere tagliati (“guide o matricine”). Si procedeva quindi alla pulitura dei tronchi da rovi e arbusti per mezzo di roncole e piccole scuri, compito spesso affidato ai più giovani. Infine si iniziava a tagliare gli alberi, usando accette o una lunga sega a mano denominata “stroncone”. Per sezionare il tronco e i rami si usavano strumenti come lo stronconcino, la scure e la roncola. La legna tagliata veniva condotta verso la carbonaia (costruita in un punto più basso rispetto al bosco) a mano avvicinandola un pò alla volta con piccoli lanci, oppure trasportata a spalla, con l’aiuto di in bastone a forma di forcina (“aseno”).

venerdì 30 novembre 2012

L'alimentazione dei carbonari



La famiglia si alimentava con pane e pasta fatte sul luogo, polenta, cereali, aringhe, alici, carne essiccata o conservata in recipienti sotto aceto, cacciagione, uova prodotte sul luogo, latte di capra.
Una tecnica di caccia era quella di osservare dove gli uccelli andavano a dormire (“ndo ievano a pullo”) poi  la notte si andava a caccia con la lampada a carburo che veniva utilizzata per accecare i volatili e con l’aiuto di una pala si procedeva a colpire gli uccelli. All’esterno della capanna era presente anche un piccolo orto, ricavato su una piazza carbonera in disuso che veniva innaffiato con acqua proveniente da un precedente utilizzo. Oltre alla verdura prodotta nell’orto, si mangiavano molte insalate selvatiche, germogli freschi di “vidagghi”, mangiati lessati e ripassati con aglio e olio, germogli di rovo e un tipo di carlina “cardo santo” (carlina zolfina). Fra i legumi selvatici le fave (“favucce”) e i piselli. Come frutta veniva mangiata quella offerta dal bosco: pere e mele selvatiche, ciliegie, more, sorbe, bacche di rosa selvatica, nocciole, cornioli e faggiole (frutti del faggio). Venivano anche allevati alcuni animali da cortile: galline, conigli, tre o quattro capre, maiale. Dopo la realizzazione della capanna si procedeva alla costruzione del forno che veniva realizzato costruendo un muro a secco circolare fino ad arrivare ad una altezza di circa un metro, all’interno veniva riempito di terra sulla quale poste alcune lastre di pietra quindi si proseguiva ancora con il muro a secco fino a ricoprire le lastre a forma di cupola e lasciando una apertura per introdurre la legna e quindi il pane da cuocere; la bocca veniva chiusa con una lamiere oppure con una lastra di pietra. La capienza del forno era di circa 10 -12 pagnotte di pane. La natura del territorio dei Monti Lepini è carsica e scarseggia di corsi di acqua e sorgenti. Per il rifornimento di acqua, bambini e donne,  dovevano fare chilometri per trovare una fonte. Per il trasporto dell’acqua si utilizzavano recipienti di legno a forma di botticelle “coppelle”. Veniva raccolta anche l’acqua piovana dalle lamiere del tetto della capanna, oppure conficcando lamine di ferro sui fusti degli alberi in modo da raccogliere l’acqua piovana che scorreva sul tronco. Un altro sistema era quello di ammucchiare la neve in grosse buche naturali ("pozzi della neve") dove veniva sezionata, e trasportata alla capanna.

giovedì 22 novembre 2012

La piazza carbonera


Una immagine di una antica piazza carbonera

venerdì 16 novembre 2012

La capanna dei carbonari sui Monti Lepini



La grandezza della capanna dei carbonari dei Monti Lepini dipendeva dal numero di persone che doveva ospitare (in genere più di dieci familiari) ed era quindi di circa trenta o quaranta metri quadrati. Essa veniva costruita conficcando sei pali a forma di “forcina” di cui quattro laterali e due centrali. Quelli centrali erano più alti. I pali erano sormontati da altri sette pali (“le cordelle”).  Per la costruzione del tetto venivano inseriti alcuni paletti di legno fra le cordelle e alla fine le lamiere. Le pareti della capanna erano costituite da rami e pali  ricoperti con le zolle di terra fino all’altezza di circa un metro e mezzo. La parte rimanente era coperta con frasche e felci. La porta era costituita da grandi tavole costruite sul luogo. All’interno veniva composto il letto denominato “ravazzola”, conficcando pali per terra e realizzando una sorta di soppalco dove veniva posizionato il materasso realizzato con sacco riempito con le “spruglie”, materiale che ricopre le pannocchie del mais. All’interno della capanna era presente il focolare che veniva acceso su una o due lastre  di calcare (“pianice”). Liberando la pianice delle ceneri e dalle braci si poneva a cuocere una pizza di mais o farina, ricoprendola con un capiente coperchio di metallo (“jò coppo”) oppure con foglie di castagno o di broccolo, ricoprendo il tutto con braci ardenti e cenere calda. Nella capanna era presente anche un tavolo e dei ciocchi di legno per sedersi. Come ripostiglio per i generi alimentari si usavano dei grandi cassoni di legno rialzati da terra. Per l’illuminazione si usava la lampada a carburo: (“la scintilena”). All’esterno della capanna su alcuni alberi venivano ricavati dei fori e conficcati delle aste di legno sui quali venivano appoggiate alcune tavole, questi servivano come sostegno per utensili da cucina e altre cose. Alcuni utensili venivano costruiti dagli stessi carbonari, ad esempio scife e scifelle tavola per stendere la sfoglia “spianatora” (recipienti di legno utilizzati a scopo alimentare) realizzati con l’ascia, grosse forchette di legno, palette di legno, mattarello (utilizzate per cucinare). All’esterno della capanna era presente anche un tavolo.

lunedì 5 novembre 2012

I carbonari nei Monti Lepini



Carbonari, pastori e contadini costituivano la struttura portante dell’economia dei Monti Lepini fino all’inizio del dopoguerra quando è iniziata l’industrializzazione della Valle del Sacco. L’arte della produzione del carbone di legna risale a tempi molto antichi più o meno all’età del ferro, perché per produrre il ferro la componente fondamentale è rappresentata dal carbone. I carbonari venivano principalmente dal paese di Veroli o da altri paesi della vicina provincia di Frosinone. Giunti nel bosco dove dovevano lavorare, la prima attività dei carbonari era costituita dalla costruzione della capanna che ospitava, oltre ai lavoratori anche tutta la famiglia che quindi viveva nel bosco per tutta la durata della stagione di produzione del carbone.

martedì 18 settembre 2012

Marmellata di corniolo



La raccolta del frutto viene fatta nei primi giorni di settembre, quando il corniolo ormai maturo é caduto dall’albero. I frutti vengono lavati per almeno due volte, poi scolati e versati in una pentola quindi ricoperti con vino bianco. Il tutto viene quindi fatto cuocere a fuoco lento, fino a quando la polpa del corniolo si stacca dal nocciolo. Girare la marmellata ogni tanto con un cucchiaio di legno. Utilizzare un setaccio separare la polpa dai noccioli rimanenti. Il composto viene poi posto in una teglia antiaderente fino a ricoprirne il fondo. Con l’aiuto di un cucchiaio di legno girare continuamente fino a  quando la marmellata non si rapprende quasi al punto voluto, quindi aggiungere lo zucchero al 50-80% del peso della polpa iniziale e la scorza di un limone grattugiato (la quantità di zucchero dipende dal gusto e dalla maturazione del corniolo). Continuare a rapprendere fino alla densità desiderata. Versare quindi il composto in una insalatiera di coccio. Mettere la marmellata dentro i vasi a bollire a bagnomaria per mezz’ora.