Dopo la resa del Brigante Domenico Regno detto Diciannove, il primo pentito della lotta armata, dall’anno 1815 al 1825 (seconda fase) si susseguirono una serie di attentati e violenze senza pari. I Monti Lepini vennero continuamente attraversati da numerose bande di briganti sonninesi, vallecorsani, giulianesi, che si diedero sempre più frequentemente al ricatto ed al sequestro di persona oltre che al facile assalto dei viaggiatori lungo la via Appia. Si susseguirono ad ondate le bande di Masocco (che la madre del Pontefice Leone XIII chiamerà “il gran Masocco”), Meo Marrone, Alessandro Massaroni ed il leggendario Brigante Gasberone. Malgrado lo Stato Pontificio impegnò uomini e mezzi, perfino forti taglie sui ricercati e chiese anche al mondo religioso un apporto costante nella soluzione della questione (vennero impiegati soprattutto i missionari di San Gaspare del Bufalo), la soluzione del problema rimase grave. Si ricorse, nella fase più cruenta, all’esilio dei parenti, alla fucilazione dei banditi alle spalle, perfino all’esposizione in gabbie di ferro. Le loro teste insanguinate vennero appese alle porte del paese: “Pasqualis Antonius Martella a Carpineto, male viventium sui temporis facile princeps, latrones omnes longe superans, caput extra portam sancti Sebastiani in cavea ferrea inclusum, expectat ibi resurrectionem” … mentre il corpo, diviso in quattro parti, veniva “inumatum in aperta campanea”.
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Fonte LEPINI. GUIDA TURISTICA