Iniziamo con il famigerato
Gasparoni, il più temuto, che nelle montagne di Abruzzo aveva ai suoi ordini un
vero e proprio esercito, e riusciva a spostarsi facilmente da una regione
all'altra dello Stato Pontificio e di quello borbonico, mettendo in scacco le
forze dell'ordine. Nel maggio del 1824, dopo tre giorni di gozzoviglie nei
dintorni di Priverno, ove s'era ricongiunto con Michele Feodi altro capobanda,
Gasparoni passò nella foresta di Cisterna, continuazione della foresta di
Terracina, la quale, essendo percorsa dalla via Appia, costituiva per i
briganti una zona ideale per le loro imprese. Difatti, attestatisi nella
località «Pizzo del cardinale» e favoriti dalla luce lunare, assalirono una
carrozza proveniente da Napoli con dentro due ufficiali austriaci diretti alla
loro patria. Però fecero appena in tempo a rifugiarsi nel bosco con i due
malcapitati, portando via due cassette di ordinanza, che giunse una scorta
militare e aprì subito il fuoco.
Quell'impresa fruttò un magro
bottino: due spade, un orologio d'oro e, racchiusi nelle casse, biancheria,
uniformi, specchi e bottiglie di profumi. I due ufficiali, rimasti «puliti», ma
senza aver subito vessazioni, furono lasciati liberi e potettero riprendere il
viaggio con la stessa carrozza. Gasparoni quindi con i suoi seguaci si
allontanò da quella località e risalendo le alture che sovrastano Cori,
aggirando le falde occidentali di Monte Lupone, raggiunse all'alba l'altipiano
di Collemezzo, una lunga distesa contornata da folti boschi e delimitata dai
confini di Carpineto Romano, Norma e Montelanico. I banditi trascorsero colà
l'intera giornata e si divisero il bottino della sera precedente con il gioco
della conta, e giacché volevano appropriarsene solo «gli anziani», dovettero
quindi sottostare all'ordine del capo. Il Feodi, irritato per essere rimasto «all'asciutto»,
abbandonò Gasparoni, ma dopo qualche mese trovò la morte nei pressi di Veroli.
La presenza di Gasparoni in
questa zona dei Monti Lepini aveva uno scopo ben determinato: sequestrare il
Signor Francesco Rossetti, Vice Governatore di Montelanico, il più ricco
possidente del paese. Tale azione, da tempo progettata, doveva attuarsi durante
la notte nello stesso palazzo del designato, che si affaccia sulla piazza
principale o «borgo» del paese, distante da Collemezzo poco più di un'ora di
cammino. Se non che, per un caso fortuito, quel progetto subì una variante;
difatti verso L'imbrunire di quel giorno si presentò per essere aggregato alla
sua banda, un certo Angelo Iranelli fuggito da Montelanico per aver commesso un
omicidio durante una partita di gioco. Gasparoni, perché il colpo non gli
fallisse, si affrettò a chiedere informazioni e consigli al nuovo venuto, il
quale riferì che, in giornata, la persona da sequestrare aveva lasciato il
paese per recarsi a controllare il suo bestiame e la raccolta del fieno lungo i
«Colli di Gavignano», di cui era affittuario, ed avrebbe pernottato nella ex
abbazia di Rossilli, dall'aspetto d'una casa fortificata e annessa al Santuario
omonimo. Dopo queste informazioni Gasparoni decise di dirigersi durante la
notte verso la meta designata, guidato dallo stesso Iranelli e,
all'alba del 6 giugno 1824, raggiunsero un bosco poco lontano dal fabbricato di
Rossilli. Dopo aver studiato in giornata il piano d'azione, il capo, al calar
del sole, mandò verso il casale cinque dei suoi più spericolati che, indossate
le divise tolte agli ufficiali austriaci e con il pretesto di chiedere acqua
fresca da bere, avrebbero dovuto effettuare il colpo. Il Rossetti, che se ne
stava tranquillamente seduto sulla porta d'ingresso, alla vista poco
rassicurante di quei militari. improvvisati, si rinserrò sprangando l'uscio e
agli uomini che bussando chiedevano acqua, rispose che potevano attingerla ad
una fontana esterna del fabbricato. A questo punto i malintenzionati lanciarono
un fischio acuto e a quel segnale, Gasparoni e gli altri della banda, usciti
dal bosco, raggiunsero il gruppetto e a colpi di scure forzarono la porta. Il
Rossetti, ritenuta inutile ogni resistenza, spalancò il portone e, a mani
alzate, supplicò che gli venisse risparmiata la vita. Il capo dei briganti
promise che non gli sarebbe stato torto nemmeno un capello, a condizione però che
avesse sacrificato tutto il suo oro e il suo bestiame. Probabilmente il
ricattato avrebbe potuto avere la meglio sugli aggressori, poiché con lui
c'erano quattro robusti guardiani armati di fucili e sopra un grosso tavolo
v'erano mucchi di cartucce già preparate, nonché carniere ripieno di munizioni.
Ma in simili frangenti sappiamo come vanno le cose: lo spavento e lo
smarrimento indussero quel poveretto a sottostare agli ordini risoluti di Gasparoni,
che lo condusse oltre le montagne di Gorga ove rimase per 10 giorni in attesa
della somma del riscatto. Si parla di 400-500 scudi, somma che fu raggiunta con
l'offerta anche da parte delle donne di Montelanico, di orecchini, anelli e collane,
pur di salvare la vita del Vice Governatore. Il Rossetti non fu sottoposto a
sevizie o a maltrattamenti di alcun genere, come è stato tramandato, e non appena
fu lasciato libero, potè raggiungere lo zio Alessandro Papi, Governatore di
Sezze, che era stato l'intermediario per il riscatto. La famiglia Rossetti
restituì poi il corrispondente valore in denaro a tutti coloro che
spontaneamente s'erano privati dei propri preziosi. A titolo di gratitudine per
il suo «buon servizio», Gasparoni regalò a Iranelli uno dei fucili con
cartucciera, portati via dal casale di Rossilli e quindi si diresse verso Poli,
dandosi ai consueti bagordi. Dopo qualche giorno si trasferì nelle montagne di
Veroli, ma notò che tra i suoi briganti mancava lo Iranelli. Questi, il 6
luglio del 1824, era stato ucciso nel territorio di Patrica da un tal Tommaso
di Antonio Bracci che, allettato dalla forte taglia e simulatosi anch'egli
brigante, voleva consegnarlo in mano alla giustizia. La testa dell'ucciso,
messa in una gabbia di ferro, fu esposta nella pubblica piazza di Montelanico
perché, dice fra l'altro un avviso del Governatore Benvenuti della Delegazione
di Frosinone, «tale esempio possa servire di remora al probo e di stimolo ai
bene intenzionati, affinché si animino nel contribuire ai nuovi e sempre più
efficaci sforzi che il Governo sta facendo per estirpare le Bande dei malviventi
che infestano le Province di Campagna e Marittima»
Fonte:
Giovambattista RonzoniRicerche sul Basso Lazio
(Arte - Storia – Archeologia – Folklore – Turismo)