mercoledì 5 dicembre 2012

La produzione del carbone



Se ci avventura nei boschi di leccio fino ad arrivare, alle quote più alte, ai boschi di faggio, è possibile incontrare grandi spiazzi anneriti da resti di carbone a volte sorretti da muri a secco nelle parti più scoscese: le “piazze carbonere”. Questi siti venivano sfruttati a cicli di 20 anni, per la produzione di carbone. Erano quasi sempre collegate al bosco da sentieri sterrati. La “piazza carbonera”, prima della costruzione della carbonaia, veniva livellata per avere una corretta combustione. Al centro veniva costruito il “castelletto” ovvero un camino, con una serie di quadrati di legna sovrapposti. Addosso al castelletto veniva appoggiata in modo verticale e posta a raggera la legna più grande e successivamente quella più piccola per favorire più possibilmente combustione, fino a che la carbonaia non assumeva la forma di una capanna. La carbonaia veniva quindi ricoperta da zolle di terra, frasche e foglie, quindi forata con un bastone per far entrare l’aria necessaria alla combustione. Una volta completata la carbonaia veniva accesa dal “castelletto”, salendo con una scala di legno a pioli, con legna precedentemente accesa. Il camino veniva quindi chiuso con alcuni pezzi di legna ricoperti con grandi zolle di terra. Tre o quattro volte al giorno si alimentava la carbonaia dal camino e la stessa veniva continuamente sorvegliata giorno e notte perchè soggetta a incendio. Dopo circa dieci giorni il capo carbonaro stabiliva, dal colore del fumo e dalla compattezza della carbonera, se il carbone era pronto. Si procedeva quindi alla fase della “scarbonatura”. La tecnica dipendeva dalla grandezza della carbonera. Se era di piccole dimensioni la scarbonatura poteva essere fatta in un giorno, togliendo man mano le toppe di terra aiutandosi con un rastrello di ferro e ricoprendo di terra più sottile il carbone. Successivamente il carbone veniva diviso dalla terra aiutandosi con un rastrello più grande di legno e accompagnato dentro recipienti di forma bassa e larghi con un lato mancante, costruiti con corteccia d’albero intrecciata (“vagli”) e quindi stoccato in grosse balle di juta. Si usavano anche altri recipienti fatti sempre con la corteccia intrecciata (“corvelli”) che avevano la forma di un secchio. Se invece la carbonera era grande, la “scarbonatura” veniva fatta in più giorni, tenendo presente di ricoprire di toppe di terra la parte della carbonera rimasta scoperta per la scarbonatura dei giorni successivi, per evitare l’incendio. La macchia cedua, veniva tagliata a cicli di venti anni. Prima del taglio si procedeva alla martellatura, che consisteva segnare alberi che non dovevano essere tagliati (“guide o matricine”). Si procedeva quindi alla pulitura dei tronchi da rovi e arbusti per mezzo di roncole e piccole scuri, compito spesso affidato ai più giovani. Infine si iniziava a tagliare gli alberi, usando accette o una lunga sega a mano denominata “stroncone”. Per sezionare il tronco e i rami si usavano strumenti come lo stronconcino, la scure e la roncola. La legna tagliata veniva condotta verso la carbonaia (costruita in un punto più basso rispetto al bosco) a mano avvicinandola un pò alla volta con piccoli lanci, oppure trasportata a spalla, con l’aiuto di in bastone a forma di forcina (“aseno”).